In occasione dell’Assemblea delle Parti dell’IDLO, Cécile Kyenge, Ministro per l’Integrazione ha tenuto un discorso in cui ha sottolinaeto l’importanza del lavoro svolto dall’organizzazione.
(fa fede solo il testo effettivamente pronunciato)
Egregio Direttore Generale,
Eccellenze,
Signora Ebadi,
è per me un grande piacere ed un onore partecipare oggi in rappresentanza del Governo italiano a questa riunione di apertura dell’Assemblea delle Parti dell’IDLO. È un grande privilegio, inoltre, poter contare sulla presenza del premio Nobel Shirin Ebadi, eminente rappresentante e personalità di riferimento per tutti noi grazie al suo incessante impegno sul tema dei diritti umani.
L’Italia è orgogliosa di essere Paese ospite e sostenitore di lunga data di questa Istituzione – l’unica organizzazione intergovernativa interamente dedicata a promuovere il “rule of law” a livello globale.
Alla fine del suo intervento in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre scorso, il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha ribadito l’impegno del nostro paese ad essere membro attivo della comunità internazionale, in un quadro – ha sottolineato – di “rafforzata governance globale”. Nel suo intervento, il Presidente Letta ha illustrato le principali caratteristiche che questo sforzo comune deve assumere, e che l’Italia si è impegnata a sostenere: la necessità, innanzitutto, di affrontare le cause alla radice dei problemi che affliggono il nostro mondo, piuttosto che limitarsi a curare gli effetti collaterali.
Lo sviluppo non è solo crescita economica e miglioramento delle statistiche. Esso deve concentrarsi sul miglioramento della “qualità della vita”, partendo dall’affrontare, ad esempio, la difficile situazione dei migranti, dei giovani disoccupati, gli squilibri e le disuguaglianze, che minacciano la stabilità politica e la possibilità che i processi di crescita economica siano sostenibili.
In tale occasione, il Presidente Letta non ha mancato di riaffermare come il rispetto dei diritti umani, la difesa dei più vulnerabili alla violenza e alla discriminazione siano e continueranno ad essere in futuro pilastri fondamentali della politica estera dell’Italia ed elementi chiave per un cammino di civiltà a livello globale.
È sulla base di questi principi che l’Italia è attivamente impegnata nello sforzo globale volto a promuovere il “rule of law” e sostiene con forza questa Istituzione, il cui contributo al nostro comune impegno è la sua vera ragion d’essere. Promuovere il “rule of law” – e vorrei aggiungere “principled rule of law” – dovrebbe interessare le azioni di tutti noi e divenire stabilmente una parte integrante della nostra responsabilità di donne e uomini delle istituzioni e di cittadini, interessati a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.
Con “principled rule of law” – in poche parole – intendo un “rule of law” che sia orientato alla costruzione di società inclusive e pluralistiche, in cui tutti sono messi in condizione di contribuire al progresso e di condividerne i suoi benefici.
Permettetemi di condividere brevemente con voi alcune riflessioni sulla missione dell’IDLO: nel nome di questa istituzione la parola “sviluppo” precede la parola “diritto”, a testimonianza di una vocazione direi ontologica dell’Organizzazione a favore di chi il “rule of law” fatica a realizzarlo, in particolare in quei contesti in cui esso rappresenta più che altrove una precondizione per uno sviluppo sostenibile e per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.
Desidero pertanto esprimere apprezzamento per questa vocazione dell’IDLO, che trasforma il “rule of law” da concetto astratto in strumento concreto per la valorizzazione dei principi di giustizia e di equità, che in effetti tutti noi, individualmente e collettivamente, come rappresentanti delle istituzioni e come cittadini, dobbiamo sforzarci di promuovere.
Mi ha fatto molto piacere – nell’avvicinarmi al lavoro di questa Istituzione- osservare che il Direttore Generale Khan, sin dall’inizio del suo mandato, ha promosso un ampio processo di consultazione, coinvolgendo governi e società civile, per far sì che gli approcci alla promozione del “rule of law”, i programmi e le modalità di funzionamento di questa Istituzione siano adattati alle esigenze del nostro tempo, per conseguire un impatto sulla vita reale delle persone nei Paesi in cui l’IDLO opera.
Non si può nascondere il fatto che, oggi, le minacce alla pace e alla stabilità, che sono sempre, direttamente o indirettamente, il risultato di un’ingiustizia, siano in aumento. Nessun paese è immune. Esempi di violenza ed intollerabili atti di discriminazione sono all’ordine del giorno, ovunque, anche in tempo di pace ed in Paesi democratici in cui il “rule of law” si suppone abbia radici solide. Unire gli sforzi per combattere la discriminazione in tutte le sue forme è la chiave per costruire un futuro migliore per tutti.
In questa prospettiva, desidero congratularmi con l’IDLO per la rinnovata attenzione che il nuovo piano strategico dell’Organizzazione pone sul tema dei diritti umani, dei diritti delle donne e delle minoranze; sul tema dell’accesso alla giustizia e del rafforzamento del diritto, come parti integranti della sua missione istituzionale, che è quella di promuovere il “rule of law” a livello globale. Ciò sia per quanto riguarda l’assistenza a quei Paesi che riemergono da situazioni di conflitto, per ricostruire o riformare il loro sistema giudiziario, sia per quanto riguarda l’assistenza ai governi sul piano delle norme utili a fronteggiare il cambiamento climatico.
Ed è in questa prospettiva che ho letto il percorso di evoluzione che l’IDLO ha intrapreso nella direzione di una “organizzazione-network”, più vicina alle regioni, ai paesi ed agli individui cui rivolge il proprio operato.
Ho notato che sotto l’emblema dell’IDLO compare la scritta “Creating a culture of Justice”. So che si tratta di una recente aggiunta, voluta dal Direttore generale Khan, prima donna ad essere nominata alla guida dell’IDLO. Bene, non credo che questa sia una mera coincidenza. Le donne sono per loro natura educatrici ed agenti di cambiamento, contribuendo esse a plasmare le menti, i cuori ed i caratteri delle persone.
“Creating a Culture of Justice” descrive bene quello che, a mio avviso, deve essere fatto, non solo per proteggere le persone e le società dai “crimini di atrocità”- come ho avuto occasione di osservare in un recente intervento alle Nazioni Unite a New York su “Responsabilità di proteggere: la responsabilità dello Stato e la prevenzione”- ma anche per aiutare i Paesi e le società nel loro percorso verso lo sviluppo sostenibile, così come declinato nell’ambito della Conferenza di Rio dell’anno scorso.
Come affermato in occasione del mio intervento alle Nazioni Unite: “L’opinione pubblica lasciata in preda alla paura, alle passioni irrazionali ed alla logica individualistica del profitto personale, può innescare l’odio e il conflitto. L’indifferenza e i piccoli atti di collusione possono perpetuare de facto lo sfruttamento e la disumanizzazione dei rapporti. Dobbiamo smascherare questi atteggiamenti apparentemente innocui, che possono realmente allevare una cultura e di oppressione.
La società civile, insieme alle donne ed agli uomini delle istituzioni, deve difendere il diritto alla diversità. Non solo il diritto di vivere in una società pluralistica, ma anche di essere “individui pluralistici”. Dentro ogni uomo e donna sono presenti culture diverse, mondi diversi, e diverse ambizioni che a volte si pongono in conflitto. Le società, come gli individui, hanno il diritto di essere complesse e diversificate. Quando si esclude una componente sociale, una parte di noi stessi è esclusa: perché dentro ognuno di noi c’è uno straniero, una donna, un bambino, un anziano, un disabile. Riscopriamo il valore di questa complessità, di questa diversità !”
Tradotto nell’opera dell’IDLO, questa cultura del “costruire processi” complessi ed elaborati, deve includere uno sforzo teso a ricostruire la fiducia della gente nelle leggi e nelle istituzioni dello Stato, che hanno lo scopo di proteggere e servire i loro bisogni.
Si tratta di un processo a lungo termine, che richiede dedizione, condivisione delle migliori pratiche e delle storie di successo – storie che, fortunatamente, esistono in tutte le parti del mondo – e, soprattutto, l’impegno di tutti, senza distinzione di classe sociale o di reddito.
Noi tutti, in particolare coloro che hanno scelto di essere membri di questa Istituzione, dovremmo sentire la responsabilità di fare la nostra parte per far si che essa si dimostri all’altezza di questa importante sfida, non solo di anno in anno, ma nel lungo periodo. L’Italia continuerà a fare la propria parte e continuerà ad appellarsi affinché tutti i suoi membri, ovviamente in linea con le loro rispettive capacità, assicurino all’IDLO un sostegno più forte e flessibile, per consentire a questa istituzione, al di là degli specifici progetti di cooperazione tecnica in cui è impegnata, di realizzare un’azione di analisi e advocacy e di esplorare le buone pratiche ed i programmi innovativi che sono necessari affinché l’IDLO possa fornire un contributo di assoluto rilievo per la costruzione di un nuova, ed oggi più che mai necessaria, “cultura della giustizia”.
Grazie della vostra attenzione.